L’Ucraina e la minaccia del conflitto nucleare

Da 25 a 50 mila civili, da 3000 a 15000 soldati russi, fino a 5 milioni di profughi. E la minaccia di un conflitto nucleare.

Da Ira Helfand, membro del board di IPPNW, una lucida analisi su quanto provocherebbe lo sfociare della crisi ucraina in una guerra vera e propria. La prospettiva dei morti e dei rifugiati, indicata più sopra e citata da funzionari del governo statunitense, è riferita ovviamente al solo innesco di un conflitto convenzionale. Ma se il conflitto – come è evidentemente possibile – arrivasse ad allargarsi oltre i confini dell’Ucraina coinvolgendo anche i Paesi della NATO, diverrebbe allora un confronto aperto tra potenze nucleari.

Leggiamo quanto egli descrive:

“Queste cifre si basano sul presupposto che vengano utilizzate solo armi convenzionali. Tuttavia, se il conflitto si estendesse oltre i confini dell’Ucraina e la NATO fosse coinvolta nei combattimenti, questa diventerebbe una grande guerra tra forze armate nucleari con il pericolo reale che le armi nucleari vengano utilizzate”

e, proseguendo con l’osservazione che “il dibattito pubblico su questa crisi è del tutto assente nella discussione di questa terribile minaccia”.

Certamente le parti in causa non utilizzerebbero subito le proprie armi nucleari. Ma “come risultato dei progressi della tecnologia e della potenza di fuoco negli ultimi decenni, queste armi possiedono una portata e una distruttività molto più grandi rispetto ai modelli precedenti, consentendo loro di colpire obiettivi di alto valore – basi aeree, stazioni radar, centri di comando, centri logistici e così via – molto dietro le linee del fronte. Mentre le perdite aumentano da entrambe le parti, e se l’una o l’altra dovessero affrontare una sconfitta imminente, i suoi leader potrebbero sentirsi spinti a impiegare le loro armi nucleari tattiche per evitare un simile risultato. Sia le dottrine militari statunitensi che quelle russe ne consentono l’uso in tali circostanze”.

Diamo adesso un’occhiata sull’attuale potenza: “Nonostante la riduzione delle forze nucleari negli ultimi decenni, la Russia ha ancora dispiegate 1.900 armi nucleari tattiche e 1.600 strategiche. Da parte della NATO, la Francia ha dispiegato 280 armi nucleari e il Regno Unito 120. Inoltre, gli Stati Uniti hanno 100 bombe tattiche B-61 dispiegate nelle basi NATO in Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia, e ulteriori 1.650 testate strategiche”.

Una singola atomica da 100 Kilotoni che esplodesse sopra Mosca provocherebbe la morte di 250 mila persone e ferendone un milione; una singola simile bomba sopra il Campidoglio degli Stati Uniti ne ucciderebbe oltre 170 mila e con quasi 400 mila feriti.

E ancora, in un crescendo di ulteriori possibilità – perché è altamente improbabile che gli Stati coinvolti si limiterebbero alla singola distruzione delle rispettive capitali…

“Un rapporto del 2002 ha mostrato che se solo 300 delle 1.600 testate strategiche dispiegate dalla Russia fossero fatte esplodere nei centri urbani degli Stati Uniti, 78 milioni di persone morirebbero nella prima mezz’ora. Inoltre, l’intera infrastruttura economica della nazione verrebbe distrutta: la rete elettrica, Internet, il sistema di distribuzione alimentare, la rete di trasporto e il sistema sanitario pubblico. Tutte quanto necessario per sostenere la vita sarebbe scomparso e nei mesi successivi a questo attacco la stragrande maggioranza della popolazione degli Stati Uniti soccomberebbe alla fame, alla malattia da radiazioni, all’esposizione e alle malattie epidemiche. Un attacco degli Stati Uniti alla Russia produrrebbe lì una devastazione simile. E se la NATO fosse coinvolta, la maggior parte del Canada e dell’Europa subirebbero un destino simile”.

Ricordiamo infine quanto già da tempo anche su queste pagine viene sottolineato. Gli effetti a medio e lungo termine di un conflitto nucleare si tradurrebbero in un raffreddamento globale improvviso e catastrofico. “Una guerra che coinvolge gli arsenali completamente dispiegati di Stati Uniti e Russia potrebbe caricare fino a 150 milioni di tonnellate di fuliggine nell’alta atmosfera, facendo scendere le temperature medie in tutto il mondo fino a 18 gradi Fahrenheit (8°C sotto zero). Nelle regioni interne del Nord America e dell’Eurasia le temperature calerebbero fino a livelli mai visti dall’ultima era glaciale, producendo un disastroso declino della produzione alimentare e una carestia globale che potrebbe uccidere la maggior parte dell’umanità. Anche una guerra più limitata che coinvolga solo 250 testate da 100 kilotoni potrebbe abbassare la temperatura media globale di 10 gradi, abbastanza da innescare una carestia senza precedenti nella storia umana, che quasi certamente porterebbe la fine della civiltà moderna”.

Le armi nucleari sono una minaccia per la nostra sopravvivenza. Ma “La loro eliminazione potrebbe essere raggiunta entro un decennio se i leader degli Stati dotati di armi nucleari si impegnassero a farlo. E il processo di negoziazione di un’agenda verificabile e applicabile per lo smantellamento di queste armi stabilirebbe un nuovo paradigma cooperativo nelle relazioni internazionali che consentirebbe loro di affrontare l’altra, più complessa minaccia esistenziale rappresentata dalla crisi climatica”.

“È imperativo che l’attuale crisi sia risolta con mezzi diplomatici. È altrettanto imperativo che i Nuclear States imparino da questa situazione pericolosa e agiscano per eliminare il pericolo di una guerra nucleare in modo definitivo avviando prontamente negoziati per la completa eliminazione di queste armi, come auspicato dalla campagna Back from the Brink – e quindi che tutti si conformino al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari”.

(il testo completo, di cui l’estratto in questa pagina, è riportato nel sito USA “The Nation”).

Common Security Approaches to Resolve the Ukraine and European Crises

E’ di Joseph Gerson, Presidente della Campaign for Peace, Disarmament and Common Security, un lungo articolo – Common Security Approaches to Resolve the Ukraine and European Crises – rilanciato nel portale dell’International Peace Bureau e focalizzato sulla situazione critica ai confini dell’Ucraina e che a molti pare sintomo di un’imminente guerra. Un documento estremamente interessante che sottolinea i molteplici aspetti della crisi, dalle esternazioni di Biden sull’imminente invasione russa alla relativa tiepida reazione, almeno di una parte dell’Europa.

 

“Sorprendentemente, in tutta Europa, c’è stata una relativa assenza di timori di un’imminente invasione russa. La convinzione è che i 100.000 soldati che la Russia ha dispiegato lungo i suoi confini con l’Ucraina siano uno stratagemma negoziale. E quando il segretario Blinken e il ministro degli Esteri russo Lavrov si sono incontrati a Ginevra, si sono impegnati per la futura diplomazia”.

“Questa è stata una crisi del tutto inutile, alimentata in larga misura dall’insistenza degli Stati Uniti nel mantenere la politica della “porta aperta” della NATO, quando la realtà è che non c’è modo che la Francia o la Germania acconsentano a che l’Ucraina diventi uno Stato membro della NATO”.

E’ da notare quanto le notizie dai media italiani risultino disallineate dalle valutazioni del dr. Gerson – continui sono i riferimenti dei media alle manovre dell’esercito russo che preluderebbero all’imminente invasione; ma nell’articolo in questione l’analisi e i suggerimenti proseguono:

La risoluzione della crisi potrebbe essere accelerata se il presidente Biden o il segretario Blinken affermassero l’ovvio: “Comprendiamo che ci sono profonde insicurezze da tutte le parti. Dato che i nostri alleati non hanno fretta di accogliere l’Ucraina nella NATO, proponiamo una moratoria sulle nuove adesioni alla NATO. Oltre a ciò, attendiamo con impazienza una serie di negoziati costruttivi per stabilire un quadro di sicurezza eurasiatico duraturo per il 21° secolo”. Una tale affermazione riporterebbe tutte le forze contendenti indietro dall’orlo del baratro. Invece, l’insistenza degli Stati Uniti nel mantenere la possibilità che Ucraina e Georgia aderiscano alla NATO sta esacerbando la crisi multiforme.”

La crisi oltretutto viene da lontano:

Nel 1990, la Carta di Parigi dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, firmata da 34 Capi di Stato, “ha inaugurato una nuova era in cui gli stati hanno assunto un impegno senza precedenti per le libertà individuali interne, la governance democratica, i diritti umani e la cooperazione transnazionale”. Sette anni dopo, è stato seguito dall’Atto istitutivo della NATO-Russia, che sanciva gli impegni per la parità di sicurezza e per non cercare la sicurezza a scapito della sicurezza dell’altro. E nel 1999 la Carta della Sicurezza Europea dell’OSCE i suoi Stati membri si impegnavano a “non rafforzare la loro sicurezza a scapito della sicurezza di altri Stati”. Più che il destino incerto dell’Ucraina, è la violazione di questi impegni di creare un ordine di sicurezza europeo post-Guerra Fredda che sta al centro dell’attuale pericolosa crisi. Malcolm X avrebbe detto che i polli sono tornati a casa ad appollaiarsi”.

Piuttosto che riconoscere e compensare gli errori commessi lungo il percorso, l’arrogante incapacità dei leader degli Stati Uniti e della NATO di riconoscere le legittime preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza ha accelerato quella che viene definita la crisi ucraina. In realtà è una crisi transeuropea. Contrariamente alla dura retorica pubblica di tutte le parti, sembra improbabile un’invasione russa dell’Ucraina a breve termine. Ma potrebbe essere innescata da un incidente – un incidente o un errore di calcolo non intenzionale.

Esistono opzioni diplomatiche di realpolitik e di sicurezza comune che potrebbero risolvere la crisi e basarsi sulla Carta di Parigi e sull’accordo istitutivo NATO-Russia. Sono stati sostenuti dall’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia James Matlock e nelle discussioni in via confidenziale di Track II tra altri ex funzionari e analisti della sicurezza statunitensi, russi ed europei.

Segue un lungo capitolo improntato sulla storia e l’impatto delle diverse crisi che hanno coinvolto la regione e che risalgono anche a secoli addietro, attraversando i grandi cambiamenti geopolitici che comprendono, tra gli altri, le vicende della Russia zarista e le tragiche conseguenze della brutale collettivizzazione agricola di Stalin. I paragrafi successivi riprendono le valutazioni sulla situazione attuale focalizzando e commentando tuttavia aspetti meno visibili – e forse meno allarmanti – del confronto in atto. Visioni e alternative non “di parte” che potrebbero anche aiutare i leader coinvolti al raffreddamento della crisi.


Riteniamo utile e importante la lettura dell’intera pubblicazione del Dr. Gerson; a tale scopo riportiamo in calce anche la traduzione italiana del testo.

TPNW: nuovamente rimandato il Meeting degli Stati aderenti

Dopo l’iniziale spostamento della data, è adesso nuovamente rimandato il Meeting degli Stati aderenti al TPNW.

Nello stesso Trattato (articolo 8, paragrafo 2) era stato specificato che la convocazione del primo Meeting avrebbe dovuto avvenire entro un anno dalla sua entrata in vigore quindi già nello scorso mese di Gennaio. Scadenza già però posticipata al marzo prossimo.

Leggiamo dalle News nel sito icanw.org:

“Il primo Meeting degli States Parties era originariamente previsto per il 22-24 marzo a Vienna, ma a causa delle continue sfide del COVID-19, gli Stati aderenti hanno avviato un processo di consultazione sulle migliori date e formati per procedere con l’incontro. Oltre alle preoccupazioni per la salute, la decisione di rinviare è stata dettata anche dal desiderio degli Stati aderenti di garantire un incontro inclusivo, a cui la società civile possa partecipare pienamente, cosa che sarebbe stata molto più difficile in un formato limitato e online.”

Causa dell’ulteriore posticipo è quindi l’emergenza sanitaria quale stiamo vivendo da due anni a questa parte, ma anche l’importanza di una partecipazione “in presenza” delle molteplici istanze della Società Civile a corredo del Meeting. E dalle Nazioni Unite ecco l’annuncio ufficiale:

“Il 31 gennaio 2022, gli States Parties del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari hanno deciso di riinviare l’incontro, dal 22 al 24 marzo 2022, e di mantenere una riserva provvisoria per le date del 19-21 luglio 2022 presso l’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna per garantire che le date rimangano disponibili; autorizzano il Presidente designato e il Segretariato a continuare a esplorare le alternative; richiedono al Presidente designato e al Segretariato di riferire su eventuali opzioni alternative”

Scongiurare il conflitto in Ucraina

Un documento redatto da IPPNW

La tensione crescente in Ucraina rischia di sfociare in un conflitto armato globale. E i colloqui diplomatici tra Mosca e Washington si arenano sul ventilato allargamento della NATO a nazioni ex-sovietiche – nel caso particolare a favore di Kiev.

Giova riprendere in mano lo Statement redatto il 17 dicembre scorso dall’Executive Committee di IPPNW. Un documento che invita alla moderazione e al dialogo, nello sforzo di scongiurare il grave pericolo di una guerra che potrebbe facilmente degenerare in un conflitto nucleare.

“È fondamentale riconoscere le esigenze di sicurezza della Russia, dell’Ucraina e dell’UE. Le manovre militari vicino ai confini russo e ucraino e le forniture di armi all’Ucraina devono essere interrotte immediatamente. Mentre le manovre invernali russe al confine con l’Ucraina e in Crimea sono percepite come una minaccia dalla comunità occidentale, anche le esercitazioni militari della NATO vicino ai confini della Russia e nel Mar Nero sono azioni inutili e pericolose. Ad esempio, tra marzo e giugno del 2021, “Defender-Europe 2021″, la più grande esercitazione militare guidata dall’esercito americano degli ultimi decenni, si è svolta in Europa con la partecipazione di 31.000 soldati provenienti da 27 Paesi.”

Lo Statement prosegue con un invito al confronto diplomatico, inoltre sottolineando gli errori nell’attuale approccio conflittuale da entrambe le parti:

“Sosteniamo qualsiasi iniziativa diplomatica all’interno dell’Unione Europea e del governo ucraino per ridurre le tensioni. Il compito urgente è promuovere misure concrete di disarmo e di riduzione dell’escalation.”

“L’Occidente dovrebbe riconoscere che l’espansione verso est della NATO influisce in modo sostanziale sugli interessi di sicurezza russi. IPPNW ricorda l’impegno verbale preso al presidente sovietico Gorbaciov di non espandere l’alleanza atlantica verso est oltre i confini di tutta la Germania. La Russia deve capire che la sua attività militare in Georgia, Moldova e Ucraina crea problemi di sicurezza tra i suoi vicini.”

E, infine, auspicando un cambio di prospettiva nei rapporti tra Occidente e Russia:

“I tempi sono maturi per avviare un cambio di paradigma nella politica di sicurezza con la Russia. I Paesi della NATO nell’UE dovrebbero esercitare pressioni sull’Alleanza per far rivivere i concetti di sicurezza comune.”


Il testo originale dello Statement: Paradigm change needed to address the current crisis in Ukraine, Russia and NATO

Per i P5 un dono natalizio

Dalle buone intenzioni ai passi concreti. “I 5 Nuclear States sembra che abbiano chiaro le necessarie prospettive per la sicurezza mondiale globale e individuale dei singoli paesi, ma sembra che non si rendano conto dei concreti passi necessari per il loro raggiungimento.”


“Stamane mi sono imbattuto nel comunicato congiunto della decima conferenza P5, dove le potenze nucleari parte del NPT esprimono le loro vedute per la prossima conferenza di revisione del trattato e su “altre questioni”. Mi è apparso chiaro che i P5 hanno bisogno d’aiuto, dato che non si rendono conto che molti dei problemi dipendono proprio da loro e quindi ho pensato di segnalare loro, quale dono natalizio, semplici passi che possono fare immediatamente.
Con tanti sinceri auguri per le prossime feste e per un nuovo anno che non sia ancora bisesto”.

Riceviamo questa lettera di riflessione come “regalo natalizio” che il prof. Alessandro Pascolini, Vicepresidente di Isodarco, vorrebbe poter suggerire ai cinque Nuclear States rappresentati nel NPT, il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare la cui decima conferenza di revisione si terrà nel prossimo gennaio. E che pone l’attenzione sulla necessità di azioni concrete per facilitare l’attuazione di quelle che comunque sono già intenzioni da loro dichiarate nel comunicato.

 

“Il documento [il Comunicato congiunto dei P5 redatto a Parigi lo scorso 3 dicembre – NDR] fa vedere come i P5 abbiano chiaro le necessarie prospettive per la sicurezza mondiale globale e individuale dei singoli paesi, ma sembra che non si rendano conto dei concreti passi necessari per il loro raggiungimento. Nello spirito natalizio degli scambi di doni, ci permettiamo di segnalare i mezzi già a loro disposizione per effettivi progressi verso gli obiettivi da loro stessi indicati.”

Questo allora è quanto indica come azioni concrete per i Cinque:

  • L’entrata in vigore del CTBT verrà fortemente agevolata se la Cina e gli USA lo ratificano;
  • Per rendere pienamente efficaci le zone prive di armi nucleari occorre che i P5 ratifichino i protocolli aggiuntivi che le riguardano: gli USA hanno ratificato solo quelli del trattato di Tlatelolco, nessuno dei P5 ha ratificato il trattato di Bangkok, e Cina, Francia e Regno Unito devono ancora ratificare il III protocollo del trattato di Rarotonga;
  • Se gli USA intendono “sostenere” una zona senza armi di distruzione di massa in Medio Oriente potrebbero partecipare con gli altri P5 ai lavori della conferenza dell’ONU sul tema, che ha già tenuto due sessioni (19–22 novembre 2019 e 29 novembre–3 dicembre 2021);
  • Una politica di trasparenza e informazione sugli aspetti essenziali delle dottrine e delle forze nucleari dei P5, non solo fra loro ma verso tutti i paesi e la comunità internazionale, è cruciale in quanto riguarda tutti, dato i rischi posti da tali armi. Particolarmente oscura è la situazione cinese, ma tutti i P5 ritengono che l’ambiguità sia una componente della deterrenza nucleare; gli USA hanno recentemente annunciato di aver completato la nuova versione della loro Nuclear Posture Review, ma non l’hanno ancora resa pubblica.

E prosegue:

“Il rischio di conflitti nucleari è dovuto e creato appunto dalle politiche e attività dei P5, per cui dovrebbe essere loro facile provvedere. Suggerimenti per la riduzione del rischio includono la diminuzione del ruolo delle armi nucleari nelle dottrine globali e operative dei P5, la riduzione dello stato di allerta dei missili, il rafforzamento delle procedure e dei controlli di sicurezza, il mantenimento del pieno controllo umano sui sistemi nucleari, la partecipazione di tutti i P5 alle esercitazioni militari degli altri paesi, il ripristino di negoziati per il controllo degli armamenti, contatti diretti fra i massimi responsabili militari dei P5 con collegamenti diretti in caso di crisi, sospensione dello sviluppo di armi destabilizzanti, in primis sistemi anti-missile e anti-satellite, armi ipersoniche e cibernetiche, riduzione di spostamenti e concentrazioni di truppe, di voli provocatori di aerei militari e forze navali in zone critiche. Naturalmente primario è il ritorno a rapporti internazionali pacifici, sostituendo alla presente feroce competizione collaborazioni scientifiche ed economiche nel comune interesse.”

“Infine, l’auspicato disarmo nucleare e generale richiede un deciso ribaltamento dell’attuale corsa agli armamenti, con gli intensi programmi di “modernizzazione” e potenziamento qualitativo di tutti i sistemi d’arma, dai sistemi nucleari a quelli convenzionali sempre più autonomi e “intelligenti”. Un segno chiaro dovrebbe essere una generale diminuzione delle spese militari, che invece vedono un’ulteriore espansione, difficilmente comprensibile a fronte dei gravissimi problemi economici, sociali e ambientali della presente situazione mondiale.”

Questo è il nostro dono natalizio alle 5 potenze nucleari, con la promessa che continueremo a controllarle e assisterle anche nel prossimo anno.”

Padova, notte di Natale 2021


Nota: Alessandro Pascolini è uno studioso senior dell’Università di Padova, già docente di fisica teorica e di scienze per la pace, ed è vice-direttore del Master in comunicazione delle scienze. Si occupa di fisica nucleare, controllo degli armamenti e divulgazione scientifica. È vice-presidente di ISODARCO (International School on Disarmament and Research on Conflicts) e partecipa alle Pugwash Conferences on Science and World Affairs.

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