Settanta anni non sono bastati ai “Nuclear States” per convincersi che l’arsenale atomico in loro possesso è sempre e comunque una minaccia terribile per l’umanità. E neanche l’accelerazione degli ultimi anni nelle iniziative – di base, istituzionali o governative – per il disarmo completo ha ottenuto dagli Stati nucleari più di una tiepida politica di disarmo “a piccoli passi”.
Autore: Roberto
NPT. Un quiz

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Dal Summit di Roma un appello al disarmo nucleare
Un discorso semplice e lineare, un appello coinvolgente risuonato dalla voce di Ira Helfand, co-presidente dell’Organizzazione mondiale dei medici per la prevenzione della guerra nucleare, nell’ampia sala che ha ospitato a Roma il Summit dei Premi Nobel per la Pace. Un resoconto dettagliato come già espresso in altre occasioni, cifre alla mano e una preoccupazione nel viso e nell’espressione di voce. E terminando con un appello rivolto a tutti, ai leader presenti in sala e a ciascuno di noi, per lavorare affinché il mondo venga presto liberato dall’incubo della distruzione totale.
Qui sotto è riportato il video del discorso integrale del dott. Helfand. Ascoltiamolo, magari aiutandoci con i sottotitoli presenti. Facciamo nostro l’appello finale. E segnamolo nell’elenco delle cose importanti da fare.
E il poco tempo che la vita sociale ci lascia libero avrà il colore e il sapore della speranza.
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Nuclear Zero
Dalla sofferenza di chi ha subìto le conseguenze dei test nucleari nel Pacifico, alla petizione per una condanna legale verso i possessori dell’atomica. Il prestigioso “Sean MacBride Peace Prize” al governo e alla popolazione delle Isole Marshall per il coraggio nell’avere avviato la petizione di condanna alla Corte Internazionale di Giustizia
Sessantasette gli ordigni nucleari lanciati dai cieli del Pacifico sulle meravigliose isole Marshall, un equivalente – negli anni dal 1946 al 1958 – di 1,7 bombe di Hiroshima giornaliere sopra i propri abitanti. Con conseguenze tragiche di sofferenza e di morte ancora adesso presenti e non solo nei ricordi.
Dal piccolo arcipelago sorge con coraggio una sfida, una sorta di Davide contro Golia con le armi della giustizia: una petizione – già raggiunte più di cinque milioni di firme – che mira a portare alla Corte Internazionale di Giustizia i nove Stati ancora possessori di armi nucleari, responsabili di non avere rispettato i propri obblighi – in base al Trattato di non Proliferazione Nucleare e al diritto internazionale – di proseguire i negoziati per l’eliminazione delle armi atomiche sul pianeta.
Il prestigioso premio Sean MacBride (1), istituito dall’International Peace Bureau (2) e per alcuni visto come un’anticamera al Nobel Peace Prize, è stato conferito quest’anno proprio ai protagonisti dello sviluppo di questo coraggioso atto giuridico, in una cerimonia svoltasi a Vienna il 5 dicembre scorso, consegnando la medaglia onorifica a Tony de Brum, Ministro degli Affari Esteri delle Isole Marshall.
La pagina nel sito Nuclear Zero (3), che raccoglie ancora le adesioni, porta a conoscenza decenni di operazioni coperte dal segreto per collaudare gli ordigni negli anni della corsa sfrenata di predominio atomico sui sovietici, la cui controparte di sofferenza spettò e spetta tuttora alle regioni del Caucaso, tanto per fare un confronto. Numeri e notizie su eventi del passato ancora appena sussurrati tra le pagine dei libri di storia, e che andrebbero invece svelati al mondo nella loro interezza.
Note e link:
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F35 – Comunicato stampa
DON’T BANK ON THE BOMB
Dall’organizzazione PAX (aderente a ICAN e già nota come IKV Pax Christi) viene divulgato oggi 7 novembre, in una conferenza stampa a Berlino, il Report 2014 “Don’t Bank on the Bomb“.
Delle armi nucleari, del loro potere distruttivo, sappiamo quasi tutto. Sappiamo però meno degli enormi interessi economici, industriali e finanziari che stanno dietro alla loro presenza nel territorio degli Stati che ne posseggono. Questo rapporto annuale – che già alla sua prima edizione di due anni fa ebbe notevole eco tra i media internazionali e che in quella successiva contribuì al ripensamento di diverse istituzioni finanziarie nelle proprie politiche di investimenti – viene riproposto anche quest’anno con i dati aggiornati.
Il report, noto per la sua completezza e la sua precisione, suddivide la questione in più capitoli, ciascuno dei quali esamina nel dettaglio nomi e attività di aziende e di istituti di credito coinvolti nella filiera delle attività produttive riguardanti i processi di manutenzione e aggiornamento degli arsenali nucleari. E separando gli istituti “virtuosi” dalla black list di quelle banche che investono in modo più o meno significativo in tali attività.
Qualche cifra: dal 2011 sono stati esaminati 411 istituti, tra banche, compagnie assicurative, fondi pensionistici in 30 Paesi, che investono in modo significativo sull’industria degli armamenti atomici: 254 nel Nord America, 94 in Europa, 47 in Asia, 10 nel Medio Oriente, 5 nella zona del Pacifico e uno nel continente africano.
Nel 2014 sono state elencate 28 aziende coinvolte nella produzione, mantenimento e modernizzazione degli arsenali atomici, localizzate in Francia, Germania, India, Olanda, Regno Unito e USA. E il movimento totale di capitali ammonta alla cifra di 402 miliardi di dollari, di cui 175 miliardi investiti dai 10 maggiori istituti finanziari.
La “Hall of Fame”, la lista degli istituti “virtuosi”, ne comprende per ora 8 che hanno già adottato politiche di scelta in investimenti “nuclear free” mentre altri 27 stanno arrivando alla stessa decisione ma le cui policy non escludono ancora in modo assoluto un coinvolgimento di operazioni finanziarie verso industrie impegnate nel nucleare.
Per tutti gli altri, traggo dal report una riflessione:
Un disinvestimento (dalle industrie coinvolte) invia un segnale chiaro: “Non con i miei soldi, non nel mio nome”. Un disinvestimento fa capire alle Compagnie che fino a quando vengono associate a programmi riguardanti armi nucleari, saranno considerate sé stesse come illegittime, oltre che un cattivo investimento.
Nel sito Don't Bank on the Bomb (www.dontbankonthebomb.com) è adesso reso pubblico e scaricabile dal web l'intero report e le sue singole sezioni, oltre ad altri link che permettono di conoscere chi investe, chi produce, come attivarsi per proporre alle Compagnie finanziarie standard diversi - etici e morali - per i propri investimenti.