(da “Paese Sera” del 3 gennaio 1986, pagina 5)
Sul TIME del 2 dicembre scorso, nell’indifferenza generale, è stata pubblicata una notizia: nell’agenda di lavoro concordata a Ginevra per il futuro tra i grandi Reagan e Gorbaciov, c’è lo studio per istituire un “centro per il controllo di crisi”, diretto insieme da sovietici ed americani, che dovrebbe evitare il rischio della escalation accidentale verso una guerra nucleare. Per la prima volta è entrato ufficialmente, nel linguaggio diplomatico fra le superpotenze, un altro fattore di rischio gravissimo: il concetto di “guerra nucleare non intenzionale”.
Se una guerra nucleare si combattesse per sbaglio o per intenzione, le polveri ed i fumi che le esplosioni innalzerebbero modificherebbero radicalmente le condizioni fisiche dell’atmosfera, oscurando la luce solare ed impedendo ad essa, per circa un anno, di arrivare sulla terra ad alimentarne la vita. Trecento scienziati di ogni punto cardinale del mondo riuniti nell’International Council of the Scientific Unions (il Consiglio internazionale delle società scientifiche), hanno chiamato tutto questo “inverno nucleare”. Sarebbe dopo la morte immediata stimata da alcuni in circa 2 miliardi di persone la morte per fame e per freddo degli abitanti delle parti del pianeta anche non direttamente colpite dalla guerra nucleare. E’ innescata sul futuro dell’intera umanità una forza distruttiva tanto grande da sfuggire alla stessa logica umana. Per impedirne gli effetti c’è una sola via: disinnescarla. E solo l’intera umanità, che ne ha permesso passivamente lo sviluppo, può farlo.
L’obiettivo della presa collettiva di coscienza dell’intera umanità, sui rischi di una guerra nucleare, condizione unica per un effettivo disarmo nucleare, è il minimo, essenziale, comune denominatore, e i 135 mila medici di 41 paesi del nord, del sud, dell’ovest e dell’est che si battono per prevenire la guerra nucleare assicurando in tal modo un decisivo, irrinunciabile intervento di prevenzione a difesa della salute dell’umanità. L’unico intervento medico possibile in una guerra nucleare, non è dopo, ma prima, e consiste nella sua prevenzione.
Ci siamo recati ad Oslo in due dall’Italia, io ed il professor Alberto Malliani di Milano, per portare la testimonianza della sezione italiana dell’IPPNW, International Physicians for the Prevention of Nuclear War.
Più di quarant’anni fa i fisici del progetto Manhattan lavoravano negli Stati Uniti attorno ad un’idea: la liberazione di immense energie, intervenendo a modificare l’organizzazione della materia, attraverso la fissione dei nuclei di atomi di elementi radioattivi, in una reazione a catena. Nacquero in questo modo le bombe di Hiroshima e Nagasaki. Pochi anni più tardi quei pochi, tra loro, che vollero andare avanti nella ricerca, scoprirono il modo di liberare energie ancora più grandi attraverso la fusione di nuclei di isotopi dell’idrogeno. Nacque così la bomba all’idrogeno termonucleare. La fissione e la fusione sono all’origine della nostra era: l’era termonucleare.
Analogamente a quanto fecero i fisici allora, oggi medici di tutto il mondo lavorano all’innesco di una reazione a catena, ma questa volta di pace e di disarmo, che colpisca nel profondo e modifichi il modo di pensare della gente, di ogni latitudine e di ogni sistema politico. Così come la fusione nucleare, inoltre, ha reso possibile la realizzazione di bombe ancora più potenti, attraverso la liberazione di quantità ancora più grandi di energia in tempi minori, unificando elementi diversi, analogamente i medici per la prevenzione della guerra nucleare si propongono di fondere in un unico sforzo realtà umane e sociali profondamente diverse, spesso opposte, allo scopo di rendere possibile una esplosione planetaria, la più grande possibile, di pace e di disarmo nucleare generale, reciproco e controllato.
Lavoriamo a questo progetto da cinque anni, e abbiamo ottenuto uno straordinario riconoscimento: il Premio Nobel per la Pace 1985. Ci siamo recati ad Oslo da ciascuna delle quarantuno nazioni ufficialmente rappresentate nell’IPPNW, International Physicians for the Prevention of Nuclear War (Internazionale Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare), ed il 10 dicembre ci è stato consegnato il Premio Nobel per la Pace. Il premio per noi non è un punto di arrivo: continueremo a lavorare, e con sempre maggiore impegno, proponendoci di giungere a contattare qualsiasi categoria medica nazionale, qualsiasi popolo, qualsiasi dirigente del globo e, nelle rispettive nostre realtà nazionali, qualsiasi collega ed operatore sanitario, qualsiasi cittadino, qualsiasi operatore della comunicazione di massa, qualsiasi dirigente politico e militare, di ogni pensiero professionale, politico, ideale, religioso.
Tutti sanno tuttavia che il conseguimento del Premio Nobel per la Pace all’IPPNW ha innescato profonde critiche nei confronti di alcuni colleghi sovietici, tra cui il professor Eugeny Chazov (coPresidente mondiale dell’IPPNW, insieme al professor Bernard Lown, americano) a causa della posizione da questi assunta in patria contro un suo connazionale dissidente, il fisico nucleare professor Andrei Sakharov. Di fronte a tutto questo, l’IPPNW ha ribadito che non è suo compito, per statuto, prendere posizione sulle politiche di qualunque governo, e ciò per evitare ostacoli alla prevenzione della guerra nucleare.
Per capire il senso di questa posizione basta riandare alla conclusione del discorso tenuto il 10 dicembre ad Oslo da Egil Aarvik, Presidente del Comitato Nobel norvegese, in occasione della consegna del Premio Nobel per la Pace 1985 all’IPPNW: “…il Premio di quest’anno è più connesso al problema del disarmo, ma è anche connesso a un livello più profondo con i diritti umani, e al diritto umano forse più importante e fondamentale di tutti gli altri: il diritto alla vita. Il diritto ad una vita e ad un futuro per noi tutti, per i nostri figli e per i nostri nipoti…è alla luce di questo diritto fondamentale dell’uomo che l’organizzazione International Physicians for the Prevention of Nuclear War ha scelto il suo corso. Ed ora riceve il Premio per la Pace come riconoscimento di un lavoro costruttivo svolto per la causa della pace. Ma il premio esprime anche una speranza, una speranza per il progressivo avanzamento di un nuovo modo di pensare, cosicchè possano essere costruiti ponti sulle divisioni che rappresentano la nostra paura del futuro”.
Qualcuno ha soffermato l’attenzione sul fatto che alla cerimonia per la consegna del premio mancavano l’ambasciatore inglese, tedesco federale ed americano. Nel corso di un cordiale e lungo incontro che abbiamo avuto presso l’Ambasciata Italiana ad Oslo, il nostro Ambasciatore, Giuseppe Scaglia, ha assicurato alla delegazione italiana al Premio che le assenze, singolarmente motivate, non avevano significato politico, ribadendo la presenza degli incaricati dei governi inglese, tedesco federale ed americano, e la mancanza da parte di tutti i governi dei Paesi della NATO di qualsiasi ostilità nei confronti dell’IPPNW, stabilito che certe valutazioni fatte, e riguardanti i singoli non coinvolgevano l’organizzazione.
Chiarite queste cose ad Oslo, non rimane che farlo anche in Italia, dove tutti dobbiamo lavorare, medici e non, per fare più forte la sezione nazionale dell’IPPNW, l’AIMPGN, Associazione Italiana Medicina per la Prevenzione della Guerra Nucleare.
di MICHELE DI PAOLANTONIOMedico chirurgo, specialista in Igiene e medicina preventiva;delegato italiano al Premio Nobel per la Pace 1985