DON’T BANK ON THE BOMB

Don't Bank On The Bomb

Dall’organizzazione PAX (aderente a ICAN e già nota come IKV Pax Christi) viene divulgato oggi 7 novembre, in una conferenza stampa a Berlino, il Report 2014 “Don’t Bank on the Bomb“.


Delle armi nucleari, del loro potere distruttivo, sappiamo quasi tutto. Sappiamo però meno degli enormi interessi economici, industriali e finanziari che stanno dietro alla loro presenza nel territorio degli Stati che ne posseggono. Questo rapporto annuale – che già alla sua prima edizione di due anni fa ebbe notevole eco tra i media internazionali e che in quella successiva contribuì al ripensamento di diverse istituzioni finanziarie nelle proprie politiche di investimenti – viene riproposto anche quest’anno con i dati aggiornati.

Il report, noto per la sua completezza e la sua precisione, suddivide la questione in più capitoli, ciascuno dei quali esamina nel dettaglio nomi e attività di aziende e di istituti di credito coinvolti nella filiera delle attività produttive riguardanti i processi di manutenzione e aggiornamento degli arsenali nucleari. E separando gli istituti “virtuosi” dalla black list di quelle banche che investono in modo più o meno significativo in tali attività.

Qualche cifra: dal 2011 sono stati esaminati 411 istituti, tra banche, compagnie assicurative, fondi pensionistici in 30 Paesi, che investono in modo significativo sull’industria degli armamenti atomici: 254 nel Nord America, 94 in Europa, 47 in Asia, 10 nel Medio Oriente, 5 nella zona del Pacifico e uno nel continente africano.

Nel 2014 sono state elencate 28 aziende coinvolte nella produzione, mantenimento e modernizzazione degli arsenali atomici, localizzate in Francia, Germania, India, Olanda, Regno Unito e USA. E il movimento totale di capitali ammonta alla cifra di 402 miliardi di dollari, di cui 175 miliardi investiti dai 10 maggiori istituti finanziari.

La “Hall of Fame”, la lista degli istituti “virtuosi”, ne comprende per ora 8 che hanno già adottato politiche di scelta in investimenti “nuclear free” mentre altri 27 stanno arrivando alla stessa decisione ma le cui policy non escludono ancora in modo assoluto un coinvolgimento di operazioni finanziarie verso industrie impegnate nel nucleare.

Per tutti gli altri, traggo dal report una riflessione:

Un disinvestimento (dalle industrie coinvolte) invia un segnale chiaro: “Non con i miei soldi, non nel mio nome”. Un disinvestimento fa capire alle Compagnie che fino a quando vengono associate a programmi riguardanti armi nucleari, saranno considerate sé stesse come illegittime, oltre che un cattivo investimento.

Nel sito Don't Bank on the Bomb (www.dontbankonthebomb.com) è adesso reso pubblico e
scaricabile dal web l'intero report e le sue singole sezioni, oltre ad altri link che
permettono di conoscere chi investe, chi produce, come attivarsi per proporre alle
Compagnie finanziarie standard diversi - etici e morali - per i propri investimenti.

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